GLI IMMOBILI ALL’ESTERO, Il D.L. 201. 6 dicembre
2011, c.d. decreto “Salva Italia”.
1)
in cosa consiste la norma
Il D.L.
201. 6 dicembre 2011, c.d. decreto salva Italia, ha introdotto dal 2011 un’imposta erariale (imposta che,
prodotta su beni esistenti nel territorio nazionale, deve essere versata allo
Stato) che dovranno corrispondere le persone fisiche residenti in Italia che
possiedono immobili situati all’estero. L’imposta è pari allo 0,76% da
applicare al valore degli immobili, con riferimento all’atto di acquisto o, in
mancanza, al valore di mercato della zona in cui è situato l’immobile.
La
norma è iniqua e va avversata sul piano giuridico ricorrendo, se possibile,
all’autorità giudiziaria nelle forme più congeniali.
Per
fare ciò abbiamo ripercorso i punti clou
della materia rinvenendo i principi cardine che riguardano le imposte erariali
e i rapporti con gli stati europei o esteri.
***
2)
convenzioni tra stati.
L’Italia ha firmato diverse convenzioni con
stati, anche europei, subito recepite in legge, che regolano il più generale principio
del divieto della doppia tassazione. A titolo di esempio riportiamo la
convenzione con la Francia del 5 OTTOBRE 1989 di cui al link http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/fnmold/francia-it.pdf
La Convenzione si applica alle imposte sul
reddito e sul patrimonio prelevate per conto di uno Stato, delle sue
suddivisioni politiche o amministrative o dei suoi enti locali (per quanto riguarda
l'Italia) o dei suoi enti territoriali (per quanto riguarda la Francia),
qualunque sia il sistema di prelevamento, onde evitare le doppie imposizioni
in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l'evasione e
la frode fiscali.
Basterebbe
solo il richiamo a questa convenzione, recepita nella L. 7 gennaio 1992, n. 20,
per intuire che la norma si presta a critiche e impugnazioni che esaminiamo più
diffusamente qui di seguito.
***
3)
quali sono le falle e le iniquità
Partendo
dall’art 23 Costituzione ricordiamo che nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, e teniamo conto che
L’Italia con convenzioni convertite in legge, ha regolato i rapporti con stati europei per evitare tassazioni di
uno stesso bene in due paesi: quello dove ad esempio si trova un immobile e
quello di residenza del proprietario.
L’approssimazione
della norma sulla imposta erariale introdotta, per non dire grossolanità, è
quello di immaginare che il nostro stato abbia introdotto una sorta di ICI
all’estero e che lo stesso con il suo apparato possa fare i calcoli avanzati ipotizzati
nel d.l. 201/2011, con riferimento ai valori da attribuire agli immobili di un
altro paese. Serenamente: chi è capace di fare simili calcoli?
La
seconda e ancor più grave iniquità risiede nel fatto che se la ricchezza (anche
intesa come incremento del PIL nazionale del paese nel quale si è acquistato
l’immobile) è prodotta appunto fuori del territorio nazionale, perché deve
corrispondersi all’Italia questa imposta? Tanto è in contrasto con il fatto che
le imposte erariali sono imposte che riguardano solo ricchezze prodottesi nel
territorio nazionale.
Ma vi è
di più. Se le somme che investo all’estero sono il prodotto del mio lavoro, di
un disinvestimento di altro immobile, o altro, e va da sé che lo stato italiano
mi ha già tassato nelle sue forme di legge, dunque non può richiedere una
ulteriore imposta che non sia quella già percepita per le voci anzidette.
L’accanimento
sulle questioni patrimoniale ancora una volta è evidente. Si tassano gli
immobili esistenti all’estero, mentre certamente non si tassano i redditi di
lavoro prodotti all’estero. Chi li valuterebbe e come ? Con il nostro personale
?
***
4)
gli strumenti e le modalità per contrastare la
norma.
Studiamo
le diverse strade per ricorrere all’A.G. per contrastare questa imposta iniqua.
Una
prima iniziativa potrebbe essere quella di utilizzare il c.d. atto di
interpello del contribuente ex art
11 l. 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) può
richiedersi all’amministrazione finanziaria (agenzia delle entrate) “Ciascun
contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che
risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello
concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e
personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta
interpretazione delle disposizioni stesse…”.
Altro
ricorso giurisdizionale appropriato è sicuramente quello alla Commissione Tributaria
quando si sia stati oggetti di un avviso di accertamento.
Dobbiamo
ritenere invece non perseguibile la strada della Class Action ordinaria (art 140 bis del Codice del Consumo D. Lgs.
6/9/2005 n. 206, aggiornato con D.L. 70/2011), essendo a tutela di azioni
collettive esperibile solo nei confronti “di
una stessa impresa”, con il suo imprescindibile riferimento ad una impresa.
Potremmo
semmai ipotizzare la Class Acion nei
confronti della P.A., forzando il dato normativo della legge 4 marzo 2009, n.
15 (c.d. legge Brunetta) pubblicata in Gazzetta Ufficiale 5 marzo 2009, n. 53
che prevede appunto una Class Action nei
confronti della P.A.
Agli
esperti di diritto Costituzionale che vorranno precisare che il governo è un organo
costituzionale e come tale non può essere considerato P.A. strictu sensu, rispondiamo auspicando, come vuole la stessa legge 5
marzo 2009 n. 53, che questo tipo di azione avrebbe per scopo quello di
sensibilizzare l’opinione pubblica su una disposizione che provoca disparità di
trattamento tra contribuenti a fini tributari, violando anche l’art. 3
Costituzione, immaginando finanche un ricorso alla Suprema Corte considerate le
disparità di trattamento con abitanti di frontiera.
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5)
Osservazioni.
Il decreto “sal va Italia” è uno dei primi con i quali si è
cimentato il bocconiano Monti con la sua equipe fatta di studiosi figli di papà
e di mammà con prole accreditata. Ma ce lo immaginiamo come i funzionari
italiani sapranno gestire questioni erariali delle centinaia di paesi che
esistono nel mondo? Con le loro lingue, usi, costumi, valore di mercato delle
zone. Ma che buffonate.
Un decreto che è
già un'imbecillità nel nome, decreto “salva Italia”. Logica vuole che chi
risiede in Italia paghi per gli usi di quanto utilizza e consuma in Italia.
Senza duplicazioni di quanto paghi nel paese dove sono situati gli immobili.
Le tasse italiane sugli immobili infatti si
pagano nel comune in cui si trova l’immobile, sia se ivi residenti, per es. a
Ischia o per caso ad Abbiategrasso, sia se residenti altrove. E cioè dove si
produce la ricchezza. Buon senso vuole che l’immobile all’estero non può pagare
essere assoggettato ad una imposta che vada in altre casse che non siano quelle
del paese in cui l’immobile è sito. Altrimenti che senso hanno le convenzioni internazionali ?
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6)
Analogie poco
rassicuranti e conclusioni.
Il sistema, molto
marxista, ricorda gli ebrei che emigravano dall’URSS costretti a pagare una
tassa per l’espatrio in Israele. Vergogna per l’URRS. Ma vergogna anche per
l’Italia, per il caso erariale in oggetto.
In conclusione l’iter da
seguire potrà essere il seguente: 1) atto di interpello; 2) Class Action contro P.A.
(soluzione un po’ forzata); 3) normali rimedi per far fronte agli avvisi
di accertamento che dovrebbero pervenire.
9.2.2012 Avv. Maria Giovanna Villari avvocato in
Napoli
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